Marco Minghetti

Ritratto Minghetti

Girolamo Induno Ritratto di Marco Minghetti 1880

Studioso e uomo politico di idee liberali, Marco Minghetti (1818-1886) è stato un protagonista del Risorgimento e uno dei personaggi pubblici più influenti della prima fase dello Stato postunitario. Era un uomo di cultura europea, autore di numerose opere (sul rapporto tra Stato e Chiesa, sui partiti politici, sull’ordinamento amministrativo dello Stato, sul ruolo dello Stato nella “questione sociale”) che ebbero immediata risonanza nel dibattito politico-culturale contemporaneo, anche al di fuori dell’Italia. Contrario a ogni forma di astrattismo dottrinario, seppe conciliare i principi del liberalismo con la realtà dei “fatti”, consapevole che lo Stato liberale doveva trasformarsi da puro e semplice Stato di diritto in Stato “amministrativo”, chiamato a intervenire nell’economia e nella società. Significativo il suo progetto di “decentramento amministrativo”, cioè la necessità di istituire un sistema fondato sull’autonomia regionale e locale. Un progetto che, se attuato, «avrebbe risparmiato gli inconvenienti e i danni dell’accentramento» (1) e che venne ripreso e realizzato, sia pure in forme diverse, solo negli anni ’70 del Novecento. Innovative, poi, le sue proposte in tema di legislazione sociale (tutela del lavoro, previdenza sociale), che avrebbero ispirato i primi provvedimenti in questo campo attuati nei decenni successivi.

Piazza Minghetti

Giulio Monteverde Monumento a Marco Minghetti nella piazza bolognese a lui dedicata 1896

Marco Minghetti nasce a Bologna, sotto lo Stato Pontificio, nel 1818 da una famiglia di proprietari terrieri che si era arricchita col commercio durante l’età napoleonica. Frequenta la scuola dei barnabiti, dove dieci anni prima aveva studiato Ugo Bassi, grande patriota bolognese. Nel 1832, accompagnato dalla madre, compie il primo dei suoi numerosi viaggi all’estero. A Parigi, dove viveva lo zio Pio Sarti, costretto all’esilio per la sua partecipazione ai moti del 1831, conosce alcuni dei più noti esuli italiani, come Terenzio Mamiani e Pietro Maroncelli. Tornato a Bologna, continua i suoi studi sia in campo filosofico-letterario sia in campo scientifico. In particolare si dedica allo studio dell’economia politica e nel 1839 partecipa al primo Congresso degli scienziati italiani a Pisa. Negli anni successivi riprende i suoi viaggi all’estero, prima in Svizzera, Germania e Belgio, poi in Francia e in Inghilterra, dove studia il funzionamento delle istituzioni parlamentari, approfondisce le proprie conoscenze economiche e viene in contatto con i maggiori esponenti della cultura e della politica europea.

Dopo l’elezione di Pio IX, che aveva suscitato grandi speranze negli ambienti liberali italiani per la sua politica di riforme, Minghetti entra a far parte della Consulta di Stato, istituita nell’aprile 1847, e, dopo la promulgazione della Costituzione (14 marzo 1848), diviene ministro dei Lavori Pubblici nel nuovo governo dello Stato Pontificio. Si dimette da questo incarico dopo l’allocuzione papale del 29 aprile, con la quale Pio IX ritirava il corpo di spedizione pontificio dalla guerra d’indipendenza contro l’Austria. Minghetti si arruola allora nell’esercito sabaudo come ufficiale di stato maggiore e partecipa alle battaglie di Goito (30 maggio) e di Custoza (25 luglio). Eletto nel settembre deputato nella Camera legislativa dello Stato Pontificio, si dimette dopo l’assassinio del capo del governo Pellegrino Rossi (15 novembre) e la successiva fuga di Pio IX a Gaeta, e in seguito rifiuta di aderire alla Repubblica Romana, proclamata dai democratici di Mazzini il 5 febbraio 1849.

Con la restaurazione del potere temporale del papa, nel luglio 1849, e la svolta reazionaria di Pio IX, Minghetti prende le distanze definitivamente dall’ideologia “neoguelfa” e si avvicina alle posizioni del liberalismo moderato piemontese. Decisivo fu l’incontro, avvenuto nel luglio 1851, con Cavour, allora ministro delle Finanze del governo piemontese, col quale condivideva la comune fiducia nel parlamentarismo e la convinzione che la soluzione della questione nazionale italiana si dovesse fondare sull’azione diplomatica del Regno di Sardegna in collaborazione con la Francia e l’Inghilterra. Nell’aprile 1859, allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza, Minghetti assume l’incarico di segretario generale del ministero degli Esteri.

Un anno più tardi, dopo i plebisciti per l’annessione al Piemonte degli ex Ducati di Parma e Modena, della Toscana e delle Legazioni Pontificie, Minghetti viene eletto deputato nel Parlamento Sardo, e nel novembre 1860 Cavour gli affida il ministero degli Interni, incarico che mantiene anche dopo la proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861), nel primo governo dell’Italia unita, presieduto da Cavour.

Ammiratore del modello inglese di autogoverno locale e contrario allo Stato unitario accentrato di tradizione napoleonica, nel marzo 1861 Minghetti, col pieno sostegno di Cavour, presenta alla Camera un progetto di legge sull’assetto amministrativo del nuovo Stato unitario, che propone l’adozione di un sistema fondato sull’autonomia regionale e locale. Esso prevedeva l’istituzione di un organo intermedio tra le province e lo Stato, cioè le regioni, o “consorzi permanenti di province”, ai quali sarebbero state trasferite alcune responsabilità amministrative del governo centrale.

Ma il progetto di Minghetti non venne approvato, soprattutto a causa della questione meridionale. La grave situazione del Mezzogiorno, dove infuriava il brigantaggio e la reazione legittimista e clericale, persuase la classe dirigente liberale che il decentramento regionale avrebbe ulteriormente indebolito l’unità nazionale dell’Italia portandola al collasso. Il nuovo governo Ricasoli, formatosi dopo la  morte di Cavour, avvenuta il 6 giugno 1861, ritirò la riforma “autonomista” di Minghetti e firmò una serie di decreti che estendevano al resto della penisola l'ordinamento provinciale e comunale esistente in Piemonte. Minghetti si dimise da ministro degli Interni.

Negli anni successivi Minghetti ricoprì diversi incarichi ministeriali nei dicasteri dell’Economia e delle Finanze e fu per due volte Presidente del Consiglio, nel 1863-64, e nel 1873-76. In occasione di un viaggio di rappresentanza a Berlino incontrò lo storico Leopold von Ranke, che rimase impressionato, come più tardi scrisse nel suo diario, dalla vasta “cultura europea” dello statista italiano. (2) Sul piano interno l’azione di governo di Minghetti fu orientata principalmente al problema del risanamento del bilancio dello Stato. Nel 1876 il traguardo del pareggio del bilancio fu finalmente raggiunto, e fu lo stesso Presidente del Consiglio ad annunciarlo in Parlamento il 16 marzo. Ma pochi giorni dopo il governo Minghetti fu messo in minoranza sulla questione della nazionalizzazione delle ferrovie, che il governo voleva attuare per ripianare il deficit accumulato dalle società di concessione private e rendere il trasporto su rotaia un servizio pubblico. La caduta del governo Minghetti segnò la fine della Destra storica. Il re Vittorio Emanuele II affidò l'incarico di formare il nuovo governo ad Agostino Depretis, il leader più rappresentativo della Sinistra.

Nell’ultimo decennio della sua vita Minghetti non rivestì più responsabilità governative, ma da deputato dell’opposizione continuò a svolgere un’intensa attività parlamentare, che si espresse nella formulazione e nella presentazione alla Camera di importanti proposte di legge su varie materie, in particolare nel campo della legislazione sociale. Continuò inoltre a prendere parte attiva al dibattito politico-culturale, pubblicando, fra l’altro, nella “Nuova Antologia”, un importante articolo su Il cittadino e lo Stato (1885), tema-cardine del liberalismo e centrale nella propria riflessione politica. In esso egli delineava la trasformazione dello Stato liberale contemporaneo, chiamato ad assumere, pur mantenendo ferma la cornice dello Stato di diritto, nuovi campi d’azione nell’economia e nella società, soprattutto in relazione alla questione sociale.

Il suo ultimo intervento pubblico lo tenne nel 1886 in occasione della commemorazione, in Senato, dei venticinque anni dalla morte di Cavour. Morì a Roma il 10 dicembre 1886. Fu sepolto a Bologna, la città natale nella quale Minghetti aveva sempre mantenuto la sua residenza presso la villa di famiglia sul Colle dell’Osservanza. Il 16 dicembre la città gli rese l’ultimo solenne omaggio in piazza Maggiore. I suoi manoscritti sono conservati presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna.

Alberto Tettamanti

(1) B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, 1973, p. 45.

(2) «Visita di Minghetti, 26 settembre 1873. Ha nel volto una certa somiglianza con Bismarck; più intelligente che geniale; possiede una vasta cultura europea; uno di quegli Italiani che Federico il Grande amava», in A. Dove, Zur eigenen Lebensgeschichte von Leopold von Ranke, Salzwasser Verlag, 2012, p. 599.